Adidas: sempre in buona fede?
“Non c’è migliore pubblicità che la cattiva pubblicità”, parola di Andy Wharol, uno dei più grandi artisti dello scorso secolo; il genere di persona insomma che ad attirare l’attenzione su di sé non ha mai avuto grossi problemi.
E di cattiva pubblicità ultimamente sembra che la Adidas non ne abbia mai abbastanza. Un primo duro colpo all’immagine di uno dei più grandi produttori di abbigliamento sportivo al mondo è arrivato nel 2023 con le dichiarazioni del noto rapper americano Kanye West, di recente ribattezzatosi Ye. Il celeberrimo produttore musicale, non nuovo a comportamenti bizzarri e a dichiarazioni apertamente controverse, è finito nell’occhio del ciclone per alcune frasi fortemente antisemite pronunciate in diverse occasioni. Tra queste sono diventate virali in particolare l’intervista in cui ha detto “Sono stanco delle classificazioni: ognuno di noi ha portato su questo pianeta qualcosa di speciale, soprattutto Hitler” e le sue accuse rivolte ad un medico ebreo che avrebbe sbagliato le cure da somministrargli per la sua depressione. Ovviamente la risposta dell’opinione pubblica internazionale non è tardata ad arrivare e in breve tempo le collaborazioni miliardarie con le diverse multinazionali che l’artista aveva intessuto negli anni sono andate in fumo. Il più duro colpo al suo impero imprenditoriale è arrivato proprio dall’azienda tedesca per la quale l’artista disegnava una linea di scarpe di immenso successo, le Yeezy.
Una partnership miliardaria sfumata dunque per il rapper, ma anche per Adidas, che è stata obbligata a privarsi da un giorno all’altro di un brand di valore enorme.
Ma non è finita qui. L’azienda con sede a Herzogenaurach, piccola cittadina bavarese che ha dato i natali anche alla Puma, si trova ora a fronteggiare un altro scandalo social. Con gli europei alle porte, la Nazionale Tedesca di calcio ha infatti affidato ancora una volta ad Adidas il design delle maglie che indosseranno in campo i giocatori. Il problema è sorto quando, nel menù di personalizzazione delle maglie, per le quali è possibile scegliere un numero ed un nome a propria scelta, è venuto fuori che il numero 44, per come è stato disegnato, assomiglia non poco al simbolo delle SS, la polizia di Stato della Terzo Reich. Notoriamente i crimini del nazismo e la tragedia dell’Olocausto sono ancora una ferita aperta nella coscienza nazionale tedesca, con i tedeschi sempre molto attenti a dissociarsi dalle azioni dei loro predecessori, e ovviamente la somiglianza è risultata indigesta a molti, peraltro non solo tedeschi. In breve sui social si è scatenata una bufera e l’Adidas è dovuta correre ai ripari impedendo ai fan che volevano comprare una maglia di personalizzarla di farlo, quantomeno in attesa di decisioni più definitive. Fortunatamente per la Nazionale Tedesca e per l’Adidas il numero 44 non è un numero particolarmente utilizzato dai calciatori (anche se il difensore della Juventus Gatti lo ha utilizzato gli scorsi anni come simpatico riferimento alla canzone “44 gatti” dello Zecchino d’Oro) e quindi il danno è stato contenuto senza problemi. Eppure le ripercussioni a livello di immagine per l’azienda tedesca rischiano di essere pesanti. Associare il proprio marchio al nazismo non è una scelta ideale per una società che cerca di fare della trasparenza, della sostenibilità e dell’inclusività le fondamenta su cui costruire l’immagine del proprio brand. Proprio peraltro nell’ultimo anno in cui sarà quest’azienda a disegnare le maglie della Nazionale prima che le subentri Nike. Una collaborazione questa già ufficializzata con largo anticipo e che non ha nulla a che vedere con i recenti fatti di cronaca.
La malizia impone ora una domanda: lo hanno fatto apposta o sono stati vittima di un clamoroso fraintendimento? Adidas ovviamente ha smentito categoricamente qualsiasi intenzionalità attraverso il portavoce Oliver Bruggen, ma è innegabile che Adidas sia il marchio più chiacchierato del momento e, tornando alle parole di Wharol, la cattiva pubblicità in fondo non esiste, come dimostrano i centinaia di articoli comparsi sui giornali di tutto il mondo. A pensarci bene anche la collaborazione con Kanye West, notoriamente un uomo a dir poco controverso, avrebbe potuto seguire un ragionamento simile: sfruttare la sua immagine il più possibile per vendere e poi smarcarsene in caso di dichiarazioni davvero eccessive (poi puntualmente arrivate), rifacendosi grazie alla pubblicità gratuita generata dallo scandalo.
Volpi del marketing o solamente sfortunati? Ai posteri l’ardua sentenza.