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Grandi dimissioni in Lombardia, in 420 mila si sono licenziati nel 2021, record a Milano. “Flessibilità e lavoro smart”

Tratto da il Corriere Milano 22 maggio 2022

Uscite volontarie, nel 2021 il 10% dei lavoratori ha cambiato occupazione. Sono 180 mila persone a Milano (più 30% rispetto al 2020): uno su due ha meno di 35 anni, più uomini che donne. Fuga da ristorazione, uffici, vendite, logistica e pulizie. Del Conte (Bocconi): segnale positivo, mercato mobile e ricco di opportunità.

In Lombardia quasi il 10 per cento dei lavoratori lo scorso anno si è dimesso. La proporzione dà l’idea del fenomeno di cui tutti parlano, quello della Great Resignation (per citare il termine usato negli Stati Uniti, dov’è esploso), le dimissioni volontarie di massa all’insegna di un maggiore equilibrio vita-ufficio e di principi fondamentali nel mondo occupazionale post pandemia come lo smart working e la maggior aderenza alle proprie competenze e aspirazioni. Non abbandono del lavoro, ma spostamento verso uno nuovo dove trovare motivazioni e condizioni migliori, quindi – spiegano gli esperti – riallineamento attivo tra domanda e offerta. In Lombardia, con la calamita della maggiore vivacità del mercato rappresentata da Milano, i numeri non lasciano spazio a dubbi: nel 2021 si sono dimessi 419.754 lavoratori, il 9,5 per cento dei 4,4 milioni di occupati.

La scelta dei giovani

Il quadro completo del fenomeno, grazie ai dati elaborati da Cgil Lombardia per il Corriere, dice che ben più di uno su due di questi è nella Città Metropolitana. Partiamo da qui: nel 2021 a Milano le dimissioni volontarie sono state 179.200, con una forte accelerazione negli ultimi sei mesi dell’anno. Quasi uno su due (82.730) ha meno di 35 anni, 109mila vengono da contratti di lavoro più lunghi di un anno e nel gruppo si contano più uomini che donne. I più numerosi (oltre 16mila) lasciano il proprio posto in attività gestionali, oltre 14 mila nella ristorazione, 11mila nelle vendite, oltre 10 mila nella logistica, altrettanti in attività dirigenziali e bancarie. Nel 2020 le dimissioni sono state 127.294: il 30 per cento in meno.

Le età dei lavoratori

Il mercato nel resto della Lombardia ha sfumature diverse da quello del capoluogo e questo si nota da almeno due fattori: l’età e i lavori di partenza. Dei 420mila dimissionari della Lombardia, Milano compresa, 181.930 hanno meno di 35 anni (meno, in proporzione, che nel solo capoluogo), 178.488 hanno tra i 35 e i 54 anni e 253mila vengono da rapporti di lavoro più lunghi di un anno. La maggioranza lascia un posto nella ristorazione (39.377), come impiegato (33.208), alle vendite (26.434), nella logistica (21.648) e come addetto alle pulizie (15.828). Anche in Lombardia il confronto col 2020 segna un più 30 per cento: si erano dimessi in 298.114.

Opportunità, flessibilità e smart working

Si tratta di un segnale positivo, “non di abbandono del lavoro”, spiega Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro all’Università Bocconi e presidente di Afol Metropolitana, ma di “spostamento verso uno nuovo. Significa che c’è mobilità e opportunità nel mercato“. Una dinamica legata “alla crescita registrata dal secondo trimestre 2021” e quindi alla “possibilità di scegliersi il posto di lavoro piuttosto che di essere scelti, di far valere le proprie professionalità: questo movimento volontario dei lavoratori può quindi contribuire in parte a un maggiore allineamento tra il patrimonio professionale della persona e l’occupazione, tra domanda e offerta”. Tutto ciò permette di interpretare le motivazioni di questa scelta – chi si dimette lo fa “perché va a ricercare motivazioni nuove e condizioni migliori” -” e ciò che significa per le aziende: “Oggi chi offre lavoro qualificato sempre più spesso deve offrire un’opportunità di smart working, la possibilità di auto-organizzare tempi e luoghi di lavoro”.

Gli effetti del Covid

Il ragionamento deve mettere insieme tutti gli effetti trasformativi prodotti dalla pandemia: “Accelerazione tecnologica, cambiamento di professionalità e impatto a livello organizzativo del lavoro. Questo ha cambiato un paradigma – spiega Del Conte -: non pensavamo che si potesse lavorare strutturalmente fuori dall’ufficio. Offrire oggi un posto di lavoro senza dare quell’opportunità vuol dire tagliarsi una quota di potenziali candidati. Sotto il profilo della competitività le aziende che oggi dicono ‘torniamo al passato’ perdono il treno dell’innovazione e del recupero di produttività. Si tratta di una ‘reazione difensiva’, che le allontana dalle ‘aziende più competitive’, un ‘moto retrogrado di chi si è sentito spiazzato'”.

L’analisi della Cgil

Il fenomeno interroga a fondo le aziende, commenta Massimo Bonini, segretario generale Cgil Milano: “Interroga la qualità del lavoro e la qualità della vita nelle imprese. Se i lavoratori si dimettono significa che non si trovano più bene secondo quelle direttrici che la pandemia ha semplicemente reso più evidenti: maggiore autonomia ed maggiore equilibrio vita-lavoro“. E poi c’è il rispetto delle competenze: “Un giovane che si trova in un contesto dov’è chiaramente più preparato alla professione nel 2022 rispetto ai suoi superiori si trova in difficoltà”. Terzo: il salario: “Se dopo tanti anni un lavoratore qualificato con anni di studio alle spalle si trova con lo stesso (basso) stipendio, c’è un problema. E’ chiaro che va a cercare condizioni migliori”.

Stefania Chiale