Gli startupper e la finanza
Il sistema finanziario delle start up funziona di norma nel modo seguente: il detentore di capitale finanziario (tipicamente un fondo di private equity) fornisce finanza sotto forma di partecipazione al capitale sociale al detentore di capitale umano (il fondatore della start up) che lo utilizza per dotarsi del capitale industriale necessario per realizzare la propria “business idea”.
Si tratta chiaramente di un investimento rischioso, in quanto solo alcune delle start up sopravviveranno, e pertanto il capitalista richiederà un rendimento elevato e un tempo di ritorno dell’investimento ragionevolmente breve. Detto in altri termini, l’investitore cercherà di cedere la propria partecipazione (exit) a un multiplo del valore di acquisto nell’arco di 2-3 anni dall’avvio della start up. Chi sarà l’acquirente? Un nuovo investitore, questa volta di tipo industriale, in grado di fornire alla start up il capitale necessario a trasformarsi in “business for life”.
Tutti felici e contenti, o quasi: certamente non saranno felici le start up che non sono riuscite a decollare, ma il meccanismo nel suo complesso assicura che il capitale vada alle “business ideas” migliori e accresca in questo modo innovazione e produttività del sistema economico.
C’è però un lato oscuro in tutto questo, anzi due.
In primo luogo, il capitale finanziario ritorna alla fine del ciclo ai suoi detentori: dunque, se si parte da una situazione di disuguaglianza nella distribuzione del capitale, questa tenderà a perpetrarsi. Addirittura, se il “darwinismo sociale” riguarda anche gli investitori (oltre alle start up), cresceranno quelli più bravi e fortunati nell’azzeccare le start up vincenti e scompariranno gli altri, e il capitale finanziario risulterà col tempo ancora più concentrato. In secondo luogo, vale la pena di considerare le cose nella prospettiva dei fondatori della start up, persone (spesso giovani) in possesso di un’idea innovativa, che necessitano di supporto per trasformarla in impresa: il meccanismo virtuoso vorrebbe che al momento dell’exit, con l’arrivo di un partner industriale, la start up si trasformi in impresa e i suoi fondatori in imprenditori, trattenendo una quota di partecipazione e mantenendo un ruolo manageriale. Tuttavia, l’obiettivo dell’exit di successo dell’investitore finanziario spesso contagia anche i fondatori delle start up, che all’obiettivo di diventare imprenditori “for life” sostituiscono quello di arricchirsi immediatamente con l’exit. Nulla di moralmente sbagliato, ma il meccanismo di produzione di innovazione rischia di trasformarsi in una sorta di lotteria, in cui il lavoro per la realizzazione di un progetto imprenditoriale cede il passo alla produzione di “metriche” finanziarie che attraggano nuovi investitori.
Silvio Cuneo