Exit Ergo Sum: fenomenologia dell’Exit
Un recente sondaggio di SWG (Osservatorio SWG. Radar, Gennaio 2023) rileva che il primo tra i buoni propositi degli italiani per il nuovo anno è la voglia di dedicare più tempo per guadagnare più soldi. L’ultimo tra i propositi invece è quello di lavorare di più, o dedicare tempo e impegno a studiare o formarsi.
Insomma gli italiani pensano di dedicare più tempo a guadagnare di più, ma pensano anche che questo tempo non coincida (più) con il lavoro o con lo studio. Siamo diventati pigri e divanisti, oppure abbiamo interiorizzato il concetto che il lavoro non consente di guadagnare di più, o che lo studio e la formazione non si traduce in opportunità di successo e di guadagno, o ancora che dal lavoro non dipende piu lo status economico e sociale?
Lo scollamento tra lavoro e risorse redistribuite, e tra lo studio e l’accesso alle reali opportunità di carriera e di successo è una delle cause che ha spinto negli anni del dopoguerra molte persone a fare impresa. Oggi probabilmente è ancora così, almeno in parte. Ma con una differenza sostanziale rispetto aglio anni del Boom e del dopoguerra, che deriva dal ruolo che la finanza ha assunto in questi anni nel mondo dell’impresa e dell’economia, compresa quella reale. La differenza tra StartUp e Business 4 Life sta proprio nell’idea che si ha di impresa. La start Up deve creare valore, il Business 4 Life deve creare lavoro, ovviamente retribuito. Siccome oggi per fare impresa servono soldi, il tema dev’exit è di fondamentale importanza ed interesse, perché di fatto non esiste un investitore che mette risorse se non per guadagnare.
Quindi gli italiani, popolo di santi e di navigatori, non sono diventati improvvisamente svogliati e viziati, ma, cosa forse anche peggiore, hanno perso ogni residua fiducia nella possibilità di guadagnare di più lavorando. E preferiscano pensare a cercare la felicita e l’autorealizzazione in altre cose, che non sia il lavoro.
E dovendo puntare al benessere o alla felicità, accettare di ridimensionare gli obiettivi, magari centrandoli su se stessi.
Finita l’era dell’individualismo, inizia quella del singolarismo, in cui prevale lo speciale, l’unico e l’irripetibile, l’originale e che trasforma tutto ciò che è “di massa”, in un “su misura” ogni volta diverso. Ogni vita diventa una opera d’arte, secondo la celebre massima del decadentismo letterario novecentesco. Ed ogni opera d’arte è per forza la somma di di eventi singolari, straordinari ed irripetibili.
Non piacciono più i servizi standard, anche se sono eccellenti, o “piatti”, a misura dei più. La gente cerca la felicità nella personalizzazione e nell’acquisizione di beni e servizi che siano una compiuta comunicazione del proprio essere. Se poi abbiamo l’ambizione di trasformare ogni attività che facciamo in una esperienza non solo personale, ma da personalizzare, il lavoro diventa uno strumento per acquisire risorse, scarsamente efficace per i più, visto che gli stupendi non crescono da 30 anni e con il lavoro non si diventa ricchi.
Il singolarismo ha la forza di un nuovo paradigma con cui si può leggere buona parte delle trasformazioni degli stili di vita e di consumo delle persone, compreso il loro stare assieme o la ricerca di un equilibrio migliore tra i tempi di vita e di lavoro. Vale per la vita affettiva, il lavoro e il tempo libero, la scuola, i viaggi, il cibo.
Diego Castagno
PS: Siamo campioni mondiali di resilienza. Nell’Italia delle disuguaglianze di tutti i tipi ci sono segnali importanti di ripresa, non solo di resilienza. A dire tutta la verità, non abbiamo risolto quasi nessuno dei problemi che ci hanno portato alla decrescita, siamo a volte malinconici, come dice il CENSIS, ma anche felici, come sostiene SWG, e disposti a ricominciare a pensare al futuro.
In fondo è un buon inizio, dipende dai punti di vista.